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martedì 22 marzo 2016

Non è un paese per genitori


La guerra mediatica (tra poveri) tra i sostenitori dell'immigrazione nordafricana e i costruttori delle grandi muraglie si è arricchita di un nuovo capitolo. Pare che in base a qualche calcolo statistico di parzialissima interpretazione per poter pagare le pensioni (agli italiani come agli europei in genere) occorre un aumento della popolazione che la bassa o nulla natalità mette a serio rischio. Ne conseguirebbe che, per la nostra stessa salvezza, l'Europa deve favorire l'ingresso di manodopera straniera, più capace di noi a fare figli in buona sostanza. Il dato (confutabilissima) non tiene minimamente conto del fatto che anche gli italiani, se supportati economicamente da un welfare paritario con quello raggiunto di diritto da un extracomunitario, metterebbero al mondo figli. Cosa che al momento non si sognano di fare in quanto riescono a malapena, con due stipendi, a sopravvivere e, forse, pagare le tasse, mantenere quel sistema di redistribuzione del reddito che toglie loro denaro per darlo proprio a coloro che si affacciano per la prima volta al nostro sistema/Paese. Credete veramente che dando 350/400 euro al mese (due anni fa si parlava di 900) a chi ospita un profugo risolva il problema (e i costi) dell'immigrazione per guerra e fame? Cioè, le grandi potenze militari del mondo continuano a buttar bombe in questi territori, a creare e rovesciare regni e tiranni, a far esplodere un fenomeno migratorio di massa (più che ovvio) per poi rigettarlo su cittadini inermi, tolleranti e disinformati che ne pagano i costi con debiti, lavoro e sacrifici. In questo circolo vizioso, la classe politica e i grandi potentati economici non riescono nemmeno a mantenere i loro territori in sicurezza da attentati terroristici. La gente comune è sempre tra l'incudine ed il martello con l'unico potere di discutere chi deve sferrare il colpo. Mala tempora currunt... Pier Giorgio Tomatis

lunedì 22 febbraio 2016

Il peso della Storia






C'era una volta Caporetto. Ai più, probabilmente, questo nome ricorderà qualcosa studiato a scuola e a pochi rammenterà una disastrosa sconfitta dell'esercito italiano contro le truppe austro-ungariche e tedesche (all'epoca facenti parte di territori sotto il dominio del kaiser Guglielmo II di Prussia e Germania). La disfatta e la ritirata delle nostre truppe fino al fiume Piave rappresenta una delle pagine più tragiche e tristi della nostra storia. Quell'episodio della prima guerra mondiale segna anche il passaggio di consegne tra due generali: Cadorna e Diaz. Le pagine dei libri di storia testimoniano come i due fossero assolutamente antitetici. Cadorna era nato a Pallanza, nel verbano, e si narra che fosse disumano nelle convinzioni, dispotico con le sue truppe (famosa è la sua tattica dei siluramenti degli ufficiali allo scopo di garantirsi una cieca e totale obbedienza) e conservatore, soprattutto nelle tattiche e strategie belliche. Diaz, di lontane origini spagnole ma nato a Napoli, aveva un atteggiamento diverso. Le cronache raccontano di un rapporto più umano e collaborativo con i suoi soldati. L'esito del conflitto sarebbe stato diverso senza Caporetto e l'avvicendamento al vertice della gerarchia militare. Ho ricordato questo episodio cruciale della nostra Storia perché in politica troppo spesso dimentichiamo che l'uomo forte al comando, colui che assoggetta e dispone del nostro popolo anziché saperne cogliere i bisogni e gli umori, non ha quasi mai portato bene. I più grandi uomini della Storia d'Italia hanno sempre anteposto la Patria a interessi, aspirazioni e convinzioni personali. Michele Prospero, curatore di un'edizione del famoso “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte” di Carl Marx del 1851, scriveva che «esistono condizioni politiche e sociali di fondo il cui degrado spiega anche l’emergere di tendenze carismatiche pronte a sfruttare le fragilità del sistema sottoposto allo stress della partecipazione politica di milioni di elettori». Persino coloro che sono morti nel nome dell'Italia, dei suoi valori, della sua dignità (Moro, Falcone, Borsellino, per citarne alcuni), hanno trovato un posto d'onore tra le pagine dei libri di Storia e ancora oggi trasmettono importanti sentimenti di orgoglio nazionale. Per tutti gli altri, oltre al marchio dell'infamia, c'è stata una piccola o grande Caporetto. E' la fredda è impietosa cronaca dei libri di Storia. Per i suoi protagonisti in negativo è un po' come aver perso due volte la stessa battaglia. Questa lezione ci insegna che un uomo solo non può scrivere la Storia, può solo peggiorarla. 
Pier Giorgio Tomatis