C'era una volta Caporetto. Ai più, probabilmente, questo nome ricorderà qualcosa studiato a scuola e a pochi rammenterà una disastrosa sconfitta dell'esercito italiano contro le truppe austro-ungariche e tedesche (all'epoca facenti parte di territori sotto il dominio del kaiser Guglielmo II di Prussia e Germania). La disfatta e la ritirata
delle nostre truppe fino al fiume Piave rappresenta una delle pagine
più tragiche e tristi della nostra storia. Quell'episodio della
prima guerra mondiale segna anche il passaggio di consegne tra due
generali: Cadorna e Diaz. Le pagine dei libri di storia testimoniano
come i due fossero assolutamente antitetici. Cadorna era nato a
Pallanza, nel verbano, e si narra che fosse disumano nelle
convinzioni, dispotico con le sue truppe (famosa è la sua tattica
dei siluramenti degli ufficiali allo scopo di garantirsi una cieca e
totale obbedienza) e conservatore, soprattutto nelle tattiche e
strategie belliche. Diaz, di lontane origini spagnole ma nato a
Napoli, aveva un atteggiamento diverso. Le cronache raccontano di un
rapporto più umano e collaborativo con i suoi soldati. L'esito del
conflitto sarebbe stato diverso senza Caporetto e l'avvicendamento al
vertice della gerarchia militare. Ho ricordato questo episodio
cruciale della nostra Storia perché in politica troppo spesso
dimentichiamo che l'uomo forte al comando, colui che assoggetta e
dispone del nostro popolo anziché saperne cogliere i bisogni e gli
umori, non ha quasi mai portato bene. I più grandi uomini della
Storia d'Italia hanno sempre anteposto la Patria a interessi,
aspirazioni e convinzioni personali. Michele
Prospero, curatore di un'edizione del famoso “Il 18 brumaio di
Luigi Bonaparte” di Carl Marx del 1851, scriveva che «esistono
condizioni politiche e sociali di fondo il cui degrado spiega anche
l’emergere di tendenze carismatiche pronte a sfruttare le fragilità
del sistema sottoposto allo stress della partecipazione politica di
milioni di elettori». Persino
coloro che sono morti nel nome dell'Italia, dei suoi valori, della
sua dignità (Moro, Falcone, Borsellino, per citarne alcuni), hanno
trovato un posto d'onore tra le pagine dei libri di Storia e ancora
oggi trasmettono importanti sentimenti di orgoglio nazionale. Per
tutti gli altri, oltre al marchio dell'infamia, c'è stata una
piccola o grande Caporetto. E' la fredda è impietosa cronaca dei
libri di Storia. Per i suoi protagonisti in negativo è un po' come
aver perso due volte la stessa battaglia. Questa lezione ci insegna
che un uomo solo non può scrivere la Storia, può solo peggiorarla.
Pier Giorgio Tomatis
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