“Too
big to fail” è uno slogan con cui è stato condito il periodo
della golden-age statunitense che vedeva Alan Greenspan per
18 anni, fino 31
gennaio 2006,
Segretario del Comitato dei Governatori della Federal
Reserve,
e Bill Clinton Presidente dello Stato. In realtà, è da quando
arrivò un economista inglese di nome J.M. Keynes che tale tesi ha
iniziato a diffondersi. Sia inteso, credo che Keynes e Roosevelt
abbiano fatto parecchio per aprire gli occhi all’umanità. L’unica
pecca, oggi più che mai lo si può riscontrare, è proprio la
visione di ciò che “è troppo grande per fallire”. In realtà,
il concetto keynesiano ha una sua ferrea logica. Il fallimento di
un’impresa rappresenta un momento tra i peggiori che il mercato
deve affrontare. Quindi, meno probabilità esistono di arrivare a
questa pratica e meglio è… In teoria. Nella pratica così non è.
Se vogliamo è molto più efficiente ed efficace pensare che il
fallimento di una piccola impresa implichi delle “piccole”
problematiche da risolvere, così come per una grande azienda si
hanno conseguenze negative più “grandi”. La Lehman
Brothers Holdings Inc. azienda
statunitense fondata
nel 1850,
era una banca d’affari a livello globale. La sua attività si
concretizzava nell'investment
banking,
nell'equity e fixed-income sales, nelle ricerche di mercato e nel
trading, nell'investment management, nel private
equity e
nel private
banking.
Il 15
settembre 2008 ha
annunciato la procedura molto simile al concordato preventivo della
Legge Fallimentare italiana, annunciando debiti bancari per 613
miliardi di dollari, debiti obbligazionari per 155
miliardi e attività per un valore di 639
miliardi, la più grande bancarotta nella
storia degli Stati Uniti. La
società è ancora esistente, fino al completamento della procedura
di bancarotta. Anche i grandi possono fallire, tanto che il “too
big” si è portato con sé insofferenze bancarie e commerciali a
livello globale che paghiamo tutti, ancora, oggi. In Italia abbiamo
avuto il caso Parmalat ma nuovi “big” si stanno affacciando
all’orizzonte. In un mercato globale fatto di pezzi di domino poco
importa chi casca per primo. Il risultato finale è per tutti sempre
lo stesso.
L’ex Tenente della Polizia di Chicago Jonathan Perry è tornato e la sua nuova indagine è più pericolosa della precedente.Siete pronti a reggerne il peso?
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giovedì 17 aprile 2014
lunedì 14 aprile 2014
Il lupo e il giaguaro
Tratto da GATELAND di Tomatis Pier Giorgio
V Il Lupo e il Giaguaro
Quella notte fu parecchio tormentata. Ogniqualvolta mi addormentavo mi risvegliavo dopo nemmeno un'ora, madido di sudore ed intirizzito per il freddo. Il mattino seguente, Maddie sostenne anche che, durante il sonno, pronunciai più volte la parola megaliti ed altri termini invece incomprensibili, legati forse a lingue o dialetti stranieri. Di tutto ciò io non ricordavo proprio nulla. Sapevo solo che al quarto tentativo riuscii ad addormentarmi fino a mattina. Sognai.
Non mi capitava spesso di sognare, né di avere un sonno tormentato, perciò non faticai molto ad annotare ogni partico-lare della mia attività onirica e già questo poteva essere motivo per rammentare quella notte. Eppure c’era anche dell’altro. Nel mio sogno le immagini che mi si presentavano davanti avevano forme sempre mutevoli, pur se riconoscibili.
Ricordavo con precisione di trovarmi lanciato in una folle corsa sul manto erboso di un vasto altopiano nella penombra delle prime ore della sera. La luce appariva e scompariva velocemente, il panorama cambiava forma improvvisamente e faceva sembrare tutto ciò che pensavo di vedere come una folle danza. Io corsi incurante della fatica e dei dolori muscolari finché ciò che era, con ogni probabilità, un altopiano su-damericano comparabile a quello di una cartolina turistica si trasformò in qualcos’altro.
Anche per effetto del tramonto inoltrato, il paesaggio attorno a me iniziò a cambiare ed io ad avere sempre meno punti di ri-ferimento. Non appena scorsi, in lontananza, degli alberi di una foresta secolare, leggermente rischiarati da riflessi di un ba-gliore rossastro, mi fermai per riposare alcuni istanti vicino ad un albero. Alzai la mano sinistra e la appoggiai sulla spessa corteccia che avvolgeva, come in un appassionante abbraccio, il suo tronco.
Mi guardai intorno e notai da dove aveva origine il colore rosso che si rifletteva in gocce d’acqua che il fogliame aveva trattenuto da una recente pioggia. Aggrottai le sopracciglia. Misi a fuoco l’immagine. Un piccolo barlume di luce, in lontananza, si faceva strada tra le foglie ed i rami come un dardo scoccato da un arco fende l'aria fino a raggiungere il suo bersaglio. Mi invitava a raggiungerlo. Curiosità o istinto che fosse a spingermi, mi avviai in quella direzione.
Una voce serena e suadente invocò il mio nome. Nathan. Oh, Nathan. Finalmente sono riuscito a raggiungerti. Vieni, vieni da me disse lo sconosciuto con voce commossa. Senza saperne il motivo seguii la luce e la voce sino a raggiungere una piccola radura, appena rischiarata e scaldata dal tepore di un fuoco di bivacco. Seduto, accosciato davanti ad esso vi era un uomo quasi completamente coperto dalla pelliccia di un lu-po, tanto che non riuscii a distinguerne i lineamenti del viso.
Sul suo collo penzolava una piccola sacca di cuoio con ap-puntata la pelle di un piccolo animale dei boschi, credo si trattasse di un roditore, e un rostro, forse il becco di un’aquila, che spuntava come un corno dal lato sinistro della testa di lupo. Il fisico era esile e l'altezza modesta. In terra alla sua destra, a portata di mano, vi era una lancia algonchina ornata di seta, cuoio e piume variopinte. Alla sua sinistra, invece, uno strano tamburo, anch’esso ornato di piume e pitture varie. Al centro di esso, sopra il cuoio di cui era formato, vi erano ciottoli e piccole ossa.
Siediti, giaguaro... disse alzando lo sguardo e fu solo allora che notai il suo viso e il mio vestito. L'uomo aveva un piccolo viso rotondo, capelli corti e neri, due occhi a mandorla e dei lineamenti che ricordavano quelli di un pellerossa o di un asiatico. Sforzandomi di vederne meglio la figura, notai che si trattava del vecchio che per le strade di Chicago mi avvertì che John Littletrees non era morto. Maggiore stupore provai nel vedere che dalla mia fronte, a risalire il capo per poi scendere fino oltre ai fianchi, vi era una pelle di giaguaro e a tracolla la mia splendente katana con impugnatura raffigurante un cobra.
Chi sei? chiesi rivolgendomi verso l'uomo con la pelle di lupo.
Non lo hai ancora indovinato, giaguaro? Rispose enig-matico il vecchio scuotendo la testa.
John Littletrees… risposi quasi senza pensarci.
Bene. Io sono lui e come vedi non sono morto. Non ti far trarre in inganno dal fatto che mi stai vedendo in sogno. Mor-morò il vecchio.
John Littletrees, sciamano lupo, fiero ed instancabile spirito guida del popolo Algonquin è vivo e vegeto. Quella notte morì un altro fratello rosso, il quale venne scambiato per me. Disse con la voce rotta per la commozione.
Perché? Chi ti voleva morto? Incalzai.
Sei veloce e freddo come l'animale di cui porti il nome, Nathan. Replicò il pellerossa con gli occhi illuminati.
Si, sembra difficile a credersi. Che un vecchio e pacifico uomo come me possa avere un nemico che voglia strappargli la vita... è incredibile. Ma è proprio così. Pur essendo vecchio e pur ringraziando ogni giorno il Grande Spirito per la saggezza di cui mi ha fatto dono, una mia leggerezza mi ha dannato forse per sempre.
Il vecchio prese a scuotere i pezzi di brace ed il fuoco dipinse di rosso e riscaldò i nostri volti. Alcuni anni fa, venni coinvolto, con alcuni fratelli rossi in un operazione militare legata ad aiuti umanitari. Almeno, questo è quello che ci dissero. La lingua dell’uomo bianco sa essere più biforcuta di quella di un serpente e il suo morso assai più velenoso. In realtà, ricuperammo per conto di alcune persone degli oggetti che avrebbero dovuto essere distrutti e che invece segnarono per sempre la nostra vita. Forse, con quel gesto, abbiamo condannato il mondo.
Fu allora che conobbi la mano destra del Diavolo. Il tono della sua voce si fece più duro.
La mano… Deglutii incredulo. Di cosa si tratta?
Di chi… vuoi dire? Ebbene sì. La mano destra del Diavolo è il nome che il popolo rosso, nella sua infinita saggezza, ha dato ad un uomo molto pericoloso. Tuttavia, egli è come un bambino e potrebbe essere ricondotto verso la giusta via. Come un’arma dipende dalla mano che la usa anch’egli è assai meno pericoloso di chi lo impugna. E’ il Diavolo l’essere da cui io debbo difendermi.
Chi? Replicai incredulo e sospettoso.
Il Diavolo è un uomo che sta cercando di realizzare un pro-getto perverso. Egli è già venuto a sapere della tua esistenza e sta pensando di dannarla cosi come ha fatto con la mia. Sei stato incauto, fratello del popolo rosso. Ti sei fidato di troppe persone. Gli occhi e le orecchie del Diavolo sono ovunque e l’uomo saggio deve essere cauto ed attento nella sua ricerca della verità.
Stai parlando in modo sempre più enigmatico affermai spa-zientito. Vorrei tu fossi più chiaro.
Sarò sempre al tuo fianco. Seguirò ogni tua mossa. Non avrai bisogno di chiamarmi per chiedere il mio aiuto perché vedrò tutto ciò che i tuoi occhi vedranno, sentirò tutto ciò che le tue orecchie sentiranno e anche di più… Il vecchio parlò con tono fiero e maestoso. La sua fiducia nelle proprie capacità doveva essere infinita.
Ebbene il mio compito oggi è quello di metterti in guardia. Presto, molto presto, gli amici si trasformeranno in nemici e chi voleva uccidere me cercherà di fermarti ad ogni costo. Esclamò sibillinamente il pellerossa alzandosi in piedi.
Fermarmi dal fare cosa e perché mi chiami giaguaro? Gridai sempre più spazientito.
Come vedi io non sono morto giaguaro, ma per il mondo dei visi pallidi non esisto più. Ho fatto perdere le mie tracce. Mi sono rifugiato in un luogo ben nascosto dove il mio potere è molto forte, dove le grandi rocce deposte dagli antichi sal-vaguardano la mia incolumità, posti come Carnac, Msoura, il lago Turkana o Uluru. Il segreto di questi posti è noto solo agli antichi e a tutti coloro che hanno avuto un contatto con essi. Mormorò il vecchio impugnando la lancia, invitandomi a rialzarmi ed a seguirlo.
Presto toccherà anche a te far perdere le tue tracce. Ricorda il mio consiglio. Fai sparire ogni indizio che possa portare a te. Renditi invisibile agli occhi del mondo dei bianchi. Solo così potrai difenderti dall'attacco degli altri predatori. Quando ciò accadrà comincerai a capire perché il tuo totem è legato a quello del giaguaro e ricorda ancora che, d'ora in poi, ogni volta che vedrai un lupo sul tuo cammino sarà il segno che io vorrò parlarti o darti qualche suggerimento. Il mio tempo è scaduto, Nathan...
Nathan, Nathan, Nathan... sveglia è ora di alzarsi. La voce tenue e melodiosa di Madeleine mi stava riportando alla realtà.
Bofonchiai qualcosa di incomprensibile persino a me stesso. Aprii gli occhi. Mi trovavo sdraiato nel mio letto, Maddie in-dossava la vestaglia della notte e mi stava aiutando a rialzarmi. In un altro momento, vederla vestita così avrebbe risvegliato dei pensieri sensuali. In quegli istanti, invece, riuscii solo ad abbracciarla e a stringerla a me come se non avessi potuto vederla mai più. E forse era proprio così.
Che ti prende, Natty? Qualcosa non va? Esclamò Maddie preoccupata.
Senza risponderle allentai la presa, la baciai e mi rialzai faticosamente.
venerdì 11 aprile 2014
A-Team
C’era una volta
l’A-Team. Si trattava di un commando
di reduci del Vietnam vittima di un errore del sistema giudiziario.
Evasi dalla prigione militare nella quale si trovavano rinchiusi,
vivevano dandosi costantemente alla fuga, braccati dalla polizia e
dall’esercito per un reato che non avevano mai commesso. Il gruppo
veniva assoldato da varie persone o gruppi che vivevano atti
d'ingiustizia dai quali intendevano ricevere adeguata difesa. I
personaggi principali erano 4: John "Hannibal" Smith,
Templeton "Sberla" Peck, Bosco Albert "P. E."(Pessimo
Elemento) Baracus e H. M. Murdock detto “Il Pazzo”. Per quasi un
anno ci è stato detto che il governo presieduto dal primo
ministro Mario Monti e un po' come l’A-Team. È stata la classe politica incapace di risolvere i problemi per i quali hanno
ricevuto la delega a governare da parte di cittadini a richiederne i
servigi e la competenza. Mi divertivano molto gli episodi della serie
ma non pensavo che li avrei mai detestati così tanto come ora. Forse
non ci tengo a passare per l'istituzione cattiva che ingiustamente
bracca i componenti dell’A-Team nel tentativo di condannarli e
rinchiuderli in carcere o molto più semplicemente mi rifiuto di
credere che un gruppo di lobbisti privilegiati e strapagati osservino
lo sfascio economico e sociale del mio paese da una comoda e protetta
posizione senza svolgere il loro unico e fondamentale compito. Io non
credo che le scelte politiche, economiche e sociali, fatte dal
governo Monti (poi Letta e ora Renzi) abbiano portato, o porteranno in futuro, alcun
beneficio, viceversa, credo che dell'impoverimento generale del
nostro paese debbano essere considerate colpevoli esattamente quanto
la classe politica che ha assistito inerte e controfirmato ogni
singola legge. Dov'è la politica? Cos’è l'antipolitica? Dove ci
vogliono portare coloro che ricevono soldi "a loro insaputa",
che non pagano nessun servizio o prestazione o merce ma ricevono
rimborsi stratosferici? Come dormono la notte coloro che ritengono
che sia più fondamentale aumentare le tasse che non creare lavoro,
che combattono l'evasione dello scontrino mancato ma che
temporeggiano fino a snaturare una seria lotta alla corruzione?
Qualunque siano le risposte a queste domande mi sto convincendo che
saremo noi cittadini a chiamare l’A-Team, quello vero, quello che
non deve favori a nessuno e che lotta per una causa e per dei valori
che l’M-Team, quello autoctono, non possiede nel suo Dna. E dopo
che vinca il migliore.
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