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giovedì 17 aprile 2014

Too big to fail




Too big to fail” è uno slogan con cui è stato condito il periodo della golden-age statunitense che vedeva Alan Greenspan per 18 anni, fino 31 gennaio 2006, Segretario del Comitato dei Governatori della Federal Reserve, e Bill Clinton Presidente dello Stato. In realtà, è da quando arrivò un economista inglese di nome J.M. Keynes che tale tesi ha iniziato a diffondersi. Sia inteso, credo che Keynes e Roosevelt abbiano fatto parecchio per aprire gli occhi all’umanità. L’unica pecca, oggi più che mai lo si può riscontrare, è proprio la visione di ciò che “è troppo grande per fallire”. In realtà, il concetto keynesiano ha una sua ferrea logica. Il fallimento di un’impresa rappresenta un momento tra i peggiori che il mercato deve affrontare. Quindi, meno probabilità esistono di arrivare a questa pratica e meglio è… In teoria. Nella pratica così non è. Se vogliamo è molto più efficiente ed efficace pensare che il fallimento di una piccola impresa implichi delle “piccole” problematiche da risolvere, così come per una grande azienda si hanno conseguenze negative più “grandi”. La Lehman Brothers Holdings Inc. azienda statunitense fondata nel 1850, era una banca d’affari a livello globale. La sua attività si concretizzava nell'investment banking, nell'equity e fixed-income sales, nelle ricerche di mercato e nel trading, nell'investment management, nel private equity e nel private banking. Il 15 settembre 2008 ha annunciato la procedura molto simile al concordato preventivo della Legge Fallimentare italiana, annunciando debiti bancari per 613 miliardi di dollari, debiti obbligazionari per 155 miliardi e attività per un valore di 639 miliardi, la più grande bancarotta nella storia degli Stati Uniti. La società è ancora esistente, fino al completamento della procedura di bancarotta. Anche i grandi possono fallire, tanto che il “too big” si è portato con sé insofferenze bancarie e commerciali a livello globale che paghiamo tutti, ancora, oggi. In Italia abbiamo avuto il caso Parmalat ma nuovi “big” si stanno affacciando all’orizzonte. In un mercato globale fatto di pezzi di domino poco importa chi casca per primo. Il risultato finale è per tutti sempre lo stesso. 

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